A conclusione della “trilogia” sui rapporti tra il mondo del lavoro e le encicliche sociali dei Papi, ho ritenuto di sintetizzare il pensiero del prof. Stefano Zamagni , professore di politica economica, che ha partecipato insieme ad altri illustri commentatori, alla stesura del testo “Commento alla Caritas in Veritate”, enciclica di Benedetto XVI. Il suo saggio è di natura squisitamente economica, senza entrare quindi nel messaggio religioso del “Papa teologo” ed è incentrato, in 3 passaggi, sull’esame della crisi sociale in atto, da lui definita una “crisi di senso” . Vediamo cosa intende e cosa propone per risolverla, anticipando che per lui la soluzione è nel “ricomporre ciò che è stato separato”. Tale soluzione, valida per tutta la società di oggi, è tanto più vera se applicata sia ad imprenditori che a lavoratori, proprio coloro che Risorsa cerca di sostenere.
Fonte: Commento alla Caritas in Veritate – edizioni lavoro – a cura di Giuseppe Accolella, Raffaele Bonanni, Giampaolo Crepaldi, Stefano Zamagni
Link al testo completo: https://www.edizionilavoro.it/catalogo/strenne/commento-alla-caritas-in-veritate
Sintesi della redazione Risorsa – 17/08/25 – a cura di Ferdinando Ciccopiedi, Vice Presidente Risorsa
1) Due tipi di crisi: dialettica ed entropica
La crisi dialettica nasce da un conflitto in una data società, ma contiene le forze per superarlo, anche se non sempre è un progresso (Rivoluzioni americana, francese, russa).
La strategia di uscita dalla crisi dialettica, come la grande depressione del 1929, è dovuta in gran parte al ruolo dell’economia keynesiana (rapporti tra Stato, mercato e domanda) che fu poi seguita anche da Roosvelt con il new deal. Keynes si accorse che la crisi era dovuta ad errori umani circa le transazioni economico/commerciali provocate da scarsa conoscenza del funzionamento del mercato capitalistico
La crisi entropica invece fa collassare e implodere il sistema senza modificarlo perché si sono persi il senso e la direzione di marcia (impero romano, feudalesimo, crollo del muro di Berlino e dell’impero sovietico)
Esempio di crisi entropica è anche quella odierna, dove la globalizzazione, evento di portata epocale, ha fatto perdere il senso alla società dell’occidente avanzato e quindi errori umani presenti in questa crisi non sono più dovuti ad un deficit conoscitivo.
La strategia di uscita dalla crisi entropica è legata al recupero del senso e non a provvedimenti tecnici o regolamentari: per questo occorrono minoranze profetiche che indichino alla nuova società la nuova direzione con il loro pensiero ed opere (ora et labora di S.Benedetto). Il lavoro non è più attività da schiavi ma diviene la via per la libertà
2) In cosa si è manifestata la crisi di senso odierna?
a) Separazione tra la sfera economica e quella sociale
Per questo primo tipo di separazione, l’economia è dominata da imprenditori che cercano il massimo profitto. Poiché il mondo del sociale non persegue il profitto, è residuale ed è espresso da principalmente da cooperative sociali e da fondazioni. Il mondo “profit” produce ricchezza con l’efficienza, il mondo “ no profit” detto anche sociale, redistribuisce ricchezza con i canoni della solidarietà e della compassione. Il risultato è che è aumentata in modo “scandaloso” la diseguaglianza sociale, anche in paesi dove il welfare State è importante. Il pensiero economico neo-conservatore adotta il principio della “torta sempre più grande” con l’ aforisma: “una marea che sale solleva tutte le barche”, così come la pioggia irrora tutti, anche i più poveri. Il problema è che questa ripartizione della torta divenuta più grande non elimina le ingiustizie commesse per farla più grande. Occorre perciò ricomporre i concetti di produzione e distribuzione di ricchezza tra sfera economica e sociale: in questo senso. l’esperienza della socialità umana può essere vissuta all’interno di una normale vita economica. Occorre poi non vedere l’economia come in conflitto con la “vita buona” nè come luogo di sfruttamento e alienazione, né come luogo in cui trovano soluzione tutti i problemi, come ritiene il pensiero liberista.
b) Separazione tra lavoro e creazione di ricchezza
Il lavoro è stato ritenuto per secoli la fonte della creazione di ricchezza, tanto che l’economista Adam Smith intitolò la sua opera fondamentale “La ricchezza delle nazioni”. Ma circa 30 anni fa compare la novità dell’economia finanziaria, con la quale è possibile creare ricchezza più in fretta rispetto all’attività lavorativa. Nelle migliori Università mondiali i “business studies” hanno attivato migliaia di posti di lavoro, ma oggi, dopo la crisi del 2008, questi giovani sono senza lavoro. La morale della finanza ha fatto credere che non ci sia bisogno di lavorare per arricchirsi più in fretta e senza troppi scrupoli. E’ come una “rivoluzione culturale” che ha sostituito al lavoratore il cittadino consumatore. Nel tempo si è passati dal lavoro artigianale del Medio Evo, che unisce attività e conoscenza, al fordismo della rivoluzione industriale che crea la mansione, cioè attività parcellizzata, ma che libera dalla necessità e all’odierno concetto di competenza professionale. Ma la stessa civiltà occidentale considera la “felicità” (l’eudaimonia aristotelica) quella che deriva dal diritto-dovere di ciascuno di scegliere e progettare una felicità comune, anche tramite il lavoro considerato mentre si svolge, non dopo che si è svolto, poiché questo arricchisce corpo, mente e cuore. Oggi invece sembra che il fenomeno del consumo riempia un vuoto dopo il lavoro. In conclusione, il paradigma eudemonico implica che l’attività di impresa non sia riducibile al solo profitto – pur non escludendolo – e che la società tutta non si fondi solo su transazioni commerciali private e redistribuzione pubblica di ricchezza, ma che sia il lavoro ad evolversi da pura “attività” ad “opera”, sulla base delle competenze dell’uomo.
3) Separazione tra mercato e democrazia
Il recente pensiero dell’economista Friedrich von Hayek, premio Nobel nel 1974, è incentrato sulla critica alla pianificazione centrale e sulla fiducia nel libero mercato, istituzione socio-economica che coordinerebbe la conoscenza dispersa tra individui tramite il sistema dei prezzi che in tale mercato si stabilisce. Per ottenere ciò è necessario che tutti i soggetti economici condividano il linguaggio del mercato. Ma il mercato ha bisogno di 2 tipi di conoscenza: quella del singolo e quella dei gruppi di cui è composta la società, ma il mercato è solo uno dei 2 tipi: conoscenza individuale. Dice von Haydeck che la conoscenza di tipo comunitario non esiste in quanto i membri della società condividono uno stesso sistema di valori e uno stesso principio di organizzazione sociale. La realtà dimostra invece che questo non sempre avviene e quindi è necessaria un’istituzione diversa dal mercato che sappia creare contatti tra i membri di comunità diverse: questa è la democrazia deliberativa. Nei primi 25 anni del nuovo millenio si è esaltata una esasperata mentalità individualistica per la quale l’espansione del mercato avrebbe intensificato anche la democrazia. Ciò ha creato 2 implicazioni, la prima delle quali è che il mercato sarebbe una zona moralmente neutra, senza bisogno di sottoporsi ad un giudizio etico e ad una legittimazione sociale. La seconda implicazione è che se la democrazia è in lento degrado (come sta capitando) è lo stesso degrado che impedisce al mercato di far progredire la società. L’attuale crisi entropica economico-finanziaria è la migliore conferma di tali ipotesi. Le 2 sfere, economica e politica, fanno oggi prevalere il “corto termismo” (short term) e se il mercato può accettare che, nel breve periodo, si possa fare senza gli altri, contro gli altri o al di sopra degli altri, la democrazia deve, per sua natura, essere con gli altri, per gli altri, negli altri, il che implica una visione di lungo periodo. Se mercato e democrazia si ricongiungono si può evitare sia l’individualismo che lo statalismo centralistico ove, da un lato la diversità fa morire l’unità della società e dall’altro l’uniformità sacrifica la diversità