Questa testimonianza mette in evidenza 3 cose: il mobbing può essere spesso una discriminazione di genere, può provenire anche dai colleghi, a volte i responsabili della direzione del personale tollerano e non intervengono. Le considerazioni della Volontaria che ce lo ha segnalato aggiungono inoltre ulteriori elementi di riflessione
Fonte: La Repubblica – D –articolo di di Sarah Victoria Barberis del 7/5/2025
Link all’articolo completo:
Sintesi e commenti della redazione Risorsa, a cura della Dott.ssa Eleonora Rossero
L’articolo racconta la vicenda di una donna di 50 anni che da circa quattro anni subisce mobbing sul posto di lavoro, sotto forma di insulti, cattiverie e persino spallate da parte di due colleghi. Nonostante la denuncia alla direzione del personale, non sono stati presi provvedimenti; al contrario, la situazione è peggiorata. Lei rappresenta quel 52 % di donne italiane che, secondo stime ufficiali (vedi il nostro articolo su questo sito al link: https://www.risorsamobbing.it/risorsa/2025/06/15/il-mobbing-secondo-il-mef/ , subiscono abusi verbali o fisici nei luoghi di lavoro, fenomeno che colpisce in particolare nel settore pubblico.
Nel leggere la lettera della protagonista -, Repubblica donne lavoro -, con la sua esperta in cultura del lavoro inclusiva ed empowerment femminile fornisce indicazioni per riconoscere la violenza psicologica, suggerendo innanzitutto di farsi affiancare da un’alleanza solida (colleghi, sindacato, avvocato, ma anche realtà associative) e di non accettare il messaggio implicito che la vittima debba «cambiare atteggiamento», in quanto la dignità sul lavoro non è negoziabile.
In Italia, sempre secondo le stime citate, si pensa che circa 1,5 milioni di lavoratrici e lavoratori (pari al 7 % degli occupati) siano vittime di mobbing; le donne risultano particolarmente colpite, non solo a causa di un equilibrio di potere discriminante, ma anche perché spesso denunciano meno (nel timore di non essere credute o di non veder presi dei provvedimenti) e ricevono scarse tutele.Il fatto che le donne subiscano più frequentemente mobbing riflette l’intersezione tra discriminazione di genere e pratiche manageriali che tollerano disuguaglianze e molestie; per contrastare il fenomeno servirebbe un vero e proprio impegno culturale nelle organizzazioni, attraverso politiche attive, formazione antiviolenza e codici etici chiari.
Le “spallate” e i commenti denigratori descritti costituiscono micro-aggressioni quotidiane che veicolano esclusione e minore dignità. Non si tratta di episodi straordinari, ma di manifestazioni di una violenza ordinaria normalizzata, che acuisce lo stress e l’ansia, conduce al burnout o costringealledimissioni, con pesanti ripercussioni psicologiche e sociali. Rilevante è anche la mancata reazione dell’ufficio personale: non un errore individuale, bensì una responsabilità sistemica attribuibile all’azienda da un punto di vista legale e morale.
Il consiglio dell’esperta di costruirsi “alleanze” – colleghi/e, sindacati, reti associative – diventa fondamentale: nelle comunità di lavoro in cui emergono dinamiche di sostegno reciproco, la vittima ha maggiori probabilità di reagire e vedere riconosciuti i propri diritti, a testimonianza di come la collettivitàpossa rappresentare una vera e propria risorsa di resilienza.
L’esperienza di questa persona non dovrebbe restare una storia isolata né privata. È invece un indicatore forte di quanto sia urgente ripensare i modelli organizzativi, ridefinire la leadership e introdurre culture del lavoro basate sulla cura, la giustizia e la corresponsabilità. Il mobbing, soprattutto quando si rivolge alle donne, non è solo un problema individuale o relazionale, ma una questione politica e culturale.
La chiave di questo cambiamento è profondamente strutturale: occorre che le aziende e le istituzioni inizino a leggere questi segnali non come “problemi interni” da minimizzare o come “conflitti tra colleghi”, ma come occasioni per ripensarsi. Un cambio di passo che richiede formazione strutturata, ascolto attivo e la creazione di spazi sicuri in cui le persone possano parlare senza temere ritorsioni, affinché la violenza cessi di essere invisibile e di venire riprodotta come parte integrante dei nostri assetti culturali.